Le origini
I primi insediamenti abitativi nel territorio di Monforte San Giorgio risalgono alla fine della prima età del bronzo (sec. XV a. C.) come risulta dai ritrovamenti archeologici in contrada Pistarina, località impervia posta lungo la strada che da Pellegrino, frazione montana di Monforte, porta ai monti Peloritani. Si deve ritenere che i primitivi abitatori appartenessero ai Sicani, cioè alla prima popolazione della Sicilia di cui possa veramente dimostrarsi l’esistenza.
E proprio sulle pendici del colle su cui sorge il paese non lontano dalla strada che porta al Santuario dell’ Immacolata gli archeologi hanno individuato alcune grotte che erano state adibite a tombe da tali antichi abitatori della Sicilia.In epoca greca e romana furono soprattutto le sponde dei torrenti ad essere abitate e particolarmente quelle del torrente Niceto, dove si sono avuti significativi ritrovamenti archeologici: una necropoli di epoca greca nella zona di Bonerba ed un tesoretto costituito da pregiate monete del V secolo a. C. ritrovato nel 1947 in contrada Annunziata .
L’importanza del torrente Niceto nell’antichità è sostenuta da numerosi storici: si pensa che lungo le sue sponde sorgesse un tempio dedicato a Diana Facellina con un centro abitato detto Artemisio. Il colle, sulle cui pendici sorge l’abitato di Monforte, oggi detto dell'Immacolata, fu abitato da monaci provenienti dall' oriente probabilmente fin dall'VIII - IX secolo dopo Cristo. Esistono sulle sue pendici chiare testimonianze di un insediamento monastico bizantino tra cui un santuario rupestre. A questi insediamenti monastici possiamo perciò far risalire le origini del paese.
I Mussulmani
Quando, nella seconda metà dell'800 i mussulmani attaccarono la zona, furono gli stessi monaci ad organizzare e sostenere la difesa facendo costruire un castello. Conosciamo i nomi dei castelli che si distinsero particolarmente nell'aspra lotta per la difesa del territorio: furono quelli di Aci, Taormina, Miqus, Rometta e DMNS. Della maggior parte di questi conosciamo la posizione poichè corrispondono ad abitati odierni. Miqus viene fatto corrispondere da molti studiosi a Monte Scuderi. Il castello di Dmns fu identificato da Michele Amari col castello di Monforte. Scrive l' Amari: "Io credo provata l'esistenza di Demana castello, infino al decimo secolo, di Demana provincia dall'undicesimo in poi: ma parmi assai dubbio che il castello durasse fino all' undicesimo secolo e certo che a metà del duodecimo fosse abbandonato o avesse mutato nome. Quanto al sito del castello non abbiamo argomenti per determinarlo: se non il nome topografico che si legge nella battaglia di Rametta (964) indizio che DMNS si trovasse a ponente di quella città. Forse a quattro o cinque miglia, là dove oggi è Monforte: nome di castello registrato da al-Idrisi, nato probabilmente dopo il conquisto normanno; nome anco di feudo nei tempi normanni". La tesi dell’illustre arabista non ha perduto la sua validità.
Il castello di DMNS fu conquistato dagli arabi solo poco prima del 965, data della caduta di Rometta, ultima rocca della Sicilia a resistere eroicamente all' assalto musulmano.
Non abbiamo alcuna notizia di Monforte durante la dominazione araba; molto probabilmente in questo periodo nella zona di via Mazzini fu costruito ed abitato l’antico borgo, la vetera, termine latino che fa riferimento alla zona più antica della città. Questa zona mantiene ancora un'impronta fortemente araba.
Il periodo normanno
Nel 1061 tutta la nostra zona fu liberata dal dominio saraceno. Dopo aver preso Messina e Rometta, i Normanni guidati dal conte Ruggero di Altavilla passarono per Monforte, diretti a Tripi; secondo la tradizione, furono trionfalmente accolti dalla popolazione cristiana monfortese felice di essere liberata e di poter riacquistare la propria identità. Il ricordo di questo episodio rivive in Paese nella tammurinata e campanata di S. Agata o Katabba che viene suonata su un’antica torre campanaria ogni anno il 4 febbraio per ricordare l’avvenimento. I suoni delle campane e del tamburo, mezzi di richiamo del mondo cristiano il primo, di quello musulmano il secondo, rievocano le varie fasi dell'avvenimento: il passo del cammello cavalcato da Ruggero, il trotto dei cavalli, lo scalpiccio dei soldati vengono resi realisticamente dai suoni più o meno intensi dei due strumenti che riproducono anche l'atmosfera festosa seguita alla liberazione. Il suono contemporaneo dei due strumenti indica desiderio di pacificazione, integrazione e collaborazione tra gli appartenenti alle due religioni.
Tenuto conto che Monforte San Giorgio viene chiamato Mons fortis dopo la conquista normanna e che il primo documento in cui compare tale nome risale al 1104, è ragionevole pensare che esso sia stato assegnato dai Normanni e sia dovuto all’infeudazione del paese ad una famiglia proveniente dall'omonimo centro normanno che corrisponde all'attuale Monfort sur Risle.
I Normanni, conquistata la Sicilia, diedero vita ad una restaurazione del monachesimo greco di cui si era manifestata una forte decadenza durante la dominazione islamica, tanto che molti monasteri erano quasi deserti. Costruirono (con inizio nel 1122) nella lingua di terra a forma di falce che chiude il porto di Messina un monastero che seguiva la regola di San Basilio dedicandolo al SS. Salvatore. A questo furono sottoposti, nel 1131, trentuno monasteri già esistenti nella diocesi di Messina tra cui quelli di Monforte e cioè il monastero di S. Anna e quello di San Nicola. I due nostri monasteri basiliani furono dotati da re Ruggero di molti beni tra cui un bosco di grandissima estensione. I Normanni avevano infatti compreso che la componente religiosa bizantina poteva funzionare da elemento di raccordo tra l'autorità e la popolazione contribuendo a garantirne il consenso.
Il castello
Rilevante è il ruolo del castello di Monforte specie durante i periodi svevo, angioino e aragonese. Anche se a causa della dispersione di gran parte dei documenti svevi non ci sono giunte testimonianze scritte su un soggiorno o una visita dell'Imperatore Federico II al castello di Monforte o ad altri castelli della nostra zona, si rileva dalla documentazione che ci è pervenuta che egli li conosceva bene ed è probabile che ne abbia pianificato e seguito i lavori di edificazione. Sicuramente Federico nel 1239 per sicurezza mise alle sue dirette dipendenze i castelli più importanti (chiamati castra exempta) tra cui quello di Monforte assieme a quelli di Messina, Taormina, Milazzo, Rometta, Scaletta. Ritroviamo la stessa struttura castellana che aveva dimostrato la sua possente capacità di presidio al tempo della resistenza all'occupazione mussulmana.
Il castello di Monforte mostra la sua importanza strategica soprattutto al tempo della dominazione angioina. Sul nostro castello re Carlo faceva molto affidamento tanto che esso aveva un numero di armati molto superiore agli altri della zona.
La guerra siculo - angioina
Un periodo particolarmente travagliato della storia del nostro territorio fu quello della guerra siculo - angioina che fece seguito ai vespri siciliani (1282): durò 90 anni (fino al 1372) e comportò continue distruzioni dei raccolti con conseguente miseria e spopolamento del territorio. Il nostro castello assieme agli altri del Milazzese mostrò in questo periodo la sua rilevanza per la sopravvivenza dei Messinesi poiché garantiva il rifornimento di viveri per la città dello stretto: senza il suo possesso i Messinesi avrebbero rischiato di morire di fame.
Per rendere più sicura la difesa della piana di Milazzo, Federico III agli inizi del XIV secolo sottopose a lavori di manutenzione ed aggiornamento il nostro castello assieme a quelli di Santa Lucia e Castroreale e cinse di robuste mura i relativi centri abitati. A lui dobbiamo perciò la cinta muraria del nuovo borgo ed in particolare la "Porta della Terra", una delle poche testimonianze originali che ci restano del nostro glorioso Medioevo.
I signori di Monforte
Monforte è stato retto da parecchi signori; uno dei più importanti fu Bartolomeo De Luci (1197) a cui si può attribuire anche la fondazione del monastero cistercense, di rito latino, di Bonerba. In questo periodo Monforte era una terra legata al demanio regio che la assegnava provvisoriamente a persone che la corona intendeva ricompensare per i loro servigi. Ma nel 1356 entrò sotto il controllo degli Alagona che se ne impossessarono e la tennero senza un' esplicita investitura della corona fino a quando dal re Martino contro cui si erano ripetutamente ribellati, furono accusati del crimine di lesa maestà, con conseguente confisca dei loro beni e quindi furono costretti all'esilio.
Martino prima aggregò la confiscata Terra di Monforte alla corona e la sottomise alla città di Messina giurando "sul signore Iddio e sui quattro vangeli" di non cederla in feudo nemmeno se costretto da stato di necessità, ma poi, rimangiandosi tutto, la dichiarò feudale e la assegnò ai fidi nobili catalani Cruyllas. Nel documento che la aggrega alla corona, Monforte ha il privilegio di essere definita da re Martino “parecchio insigne per il suo rango e la curata solidità del suo sito”. Giovanni Cruyllas vendette nel 1405 il feudo a Nicolò Castagna a cui fecero seguito i suoi discendenti.
Il XVI secolo
Il sedicesimo secolo fu il periodo d’oro di Monforte: quello in cui il paese dimostrò maggiore vivacità e si arriccchì di pregevoli opere d’arte. È di questo secolo la costruzione della Chiesa Madre, come la conosciamo oggi. Sono del 1507 il prezioso portale laterale tardogotico della Chiesa Madre e la statua della Madonna di Crispino, opera certa dell’insigne scultore Antonello Gagini. E’ del 1530 il Polittico di Antonello de Saliba, nipote del sommo pittore Antonello da Messina. É della prima metà del secolo la statua della Madonna Immacolata. E’ di questo secolo il più illustre personaggio monfortese di tutti i tempi, il gesuita Stefano Tuccio che entra nel collegio dei Gesuiti di Messina nel 1557 fornito già di una salda istruzione letteraria. E’ infine della seconda metà del secolo la costruzione della Cappella del SS. Sacramento. Questa è ad un tempo un documento storico e un’opera d’arte. Si tratta di una realizzazione che meriterebbe di essere conosciuta in tutt’Italia per essere, assieme alla analoga cappella della Basilica di San Giovanni in Laterano in Roma, una esemplare testimonianza delle direttive della chiesa cattolica che fecero seguito al Concilio di Trento.
Nel 1540 i Moncada vendettero il feudo ai Saccano ma lo riacquistarono nel 1596 e lo ressero fino al termine della feudalità col titolo di principe a partire dal 1628.