RECENTI STUDI
La statua dell'Immacolata è opera del Mazzolo
FEDE E TRADIZIONE
La statua di marmo della Madonna col Bambino ospitata nella chiesetta eretta dove un tempo sorgeva la cappella del Castello di Monforte è senza alcun dubbio la raffigurazione della Madonna più amata dai monfortesi. Il suo culto è molto antico e molto vivo. La popolazione monfortese durante i periodi di maggior pericolo (epidemie, eventi atmosferici, terremoti, guerre) ha fatto ricorso al suo aiuto; numerosi monfortesi la ringraziano per averli protetti nei momenti più difficili della loro vita ed alcuni per averli salvati dalla caduta di massi staccatisi dal colle.L’opera, secondo la tradizione, avrebbe sostituito un’icona di Maria rinvenuta in una grotta del colle del santuario dove era stata nascosta nel periodo iconoclasta (726-843) o durante la dominazione islamica per salvarla dalla distruzione. Molti monfortesi però credono che proprio la statua che oggi veneriamo e che risale al XVI secolo sia stata nascosta dentro una grotta per sottrarla alla distruzione degli iconoclasti o dei saraceni.
STUDI SULL’OPERA
Non mi risulta che ci siano studi specifici, né mi risulta ci siano documenti archivistici che indichino l’autore della statua. In mancanza di questi occorre perciò ricorrere ad una analisi stilistica dell’opera. Già lo storico Giuseppe Ardizzone Gullo nella sua pregevole opera “Guida ragionata al patrimonio storico-artistico di Monforte San Giorgio” avanza un’ipotesi ragionevole scrivendo che “la statua sembra essere opera attribuibile alla bottega di Francesco Laurana o di un suo stretto collaboratore”. Mentre concordo con Ardizzone sul fatto che in essa si riconoscono caratteristiche dell’arte di Laurana, non posso non rilevare che queste si riscontrano anche in molte opere di Mazzolo e in quelle giovanili di Antonio Gagini a uno dei quali è attribuibile il lavoro. Vediamo perciò chi sono questi due artisti, quando hanno operato e se è possibile attribuire l’opera ad uno di loro.
Questo è quanto scrivevo in un mio antico articolo, steso assieme alla mia amata moglie Anna Carlini che tanto mi aiutato a riflettere sulla realtà monfortese. in questo articolo umilmente mi permettevo di proporre per la parternità dell'opera allo scultore Giovanbattista Mazzolo.
RECENTI STUDI
La mia proposta è stata accolta dagli studiosi . La statua che i devoti di Monforte San Giorgio venerano come quella della Madonna Immacolata è opera che i critici attribuiscono concordemente a Giovambattista Mazzolo. Lo afferma la storica dell’arte Paola Coniglio in un articolo dal titolo “Scultura a Messina all’inizio del Cinquecento. Giovambattista Mazzolo sulla scia di Benedetto da Maiano per il tramite di Antonello Gagini”. Lo scritto è stato pubblicato sul mensile “Prospettiva. Rivista di storia dell’arte antica e moderna” nel numero di aprile del 2020. Ma di esso siamo venuti a conoscenza solo in questi giorni. Trattandosi dell’immagine mariana più amata dai monfortesi è doveroso informare i fedeli delle conclusioni a cui giunge Paola Coniglio.
Ma prima è utile dare qualche informazione su Giovambattista Mazzolo. Di lui sappiamo che era nativo di Carrara e quando nel 1508 Antonello Gagini si trasferì a Palermo, occupò a Messina il posto da lui lasciato libero. L’ideale passaggio di consegne tra i due è stato così esemplificato dall’erudito palermitano Gioacchino Di Marzo: “Niuno però, per bravo che fosse nella scultura, riuscì ad avere ivi [a Messina] acquistato celebrità come ve l’acquistò, benché ventenne, il Gagini, il quale in men di dieci anni di suo soggiorno cominciò a rivelarvi in tal guisa la singolarità del suo genio e del suo divin magistero e quindi vi pervenne a tanta eccellenza di fama che per Messina non solo, e per vari luoghi dell’isola fu senza posa ad alti lavori adibito […] ma quando dalla stessa celebrità del suo nome fu egli di nuovo tratto in Palermo sua patria a produrvi le più insigni sue opere e vi rinvenne il miglior campo ed il maggior centro a diffondere ovunque per l’isola ed al di fuori i continui portenti del suo scalpello, restò Messina priva in lui d’una gloria, ond’ella, siccome fu poi Palermo, sarebbe stata a capo del più grande e meraviglioso sviluppo della siciliana scultura […] essendo dunque allora più che mai stato bisogno in Messina d’un bravo scultore, che avesse preso in mano le sorti dell’arte e supplito al possibile il vuoto lasciato dal Gagini, ben fu ad ascrivere a ventura l’averlo trovato in un Giambattista Mazzolo da Carrara, il quale, non guari dopo andatone quello, appare fermamente quivi di già stabilito” (G. di Marzo, I Gagini e la scultura ..., Vol. I, pp. 745-746). Antonello Gagini si era formato a Firenze al fianco di Benedetto da Maiano, personalità assai notevole della cultura fiorentina del secondo Quattrocento e la sua presenza a Messina è documentata a partire dal 1498, quando all’incirca ventenne- come afferma la Coniglio- si era fatto subito apprezzare per la raffinatezza dell’intaglio e la morbidezza delle carni, unite all’intensità espressiva tanto da essere capace di produrre capolavori d’armonia compositiva diffondendo nello scenario scultoreo della Sicilia (e della Calabria) d’inizio Cinquecento, il nuovo linguaggio toscano prodromo della “Maniera moderna”.
La carriera di Giovambattista Mazzolo, secondo la Coniglio, è stata un continuo tentativo di carpire quelle novità soprattutto con la rappresentazione della ‘Madonna col Bambino’ marmorea, a grandezza naturale, soggetto maggiormente prodotto dalla sua officina, tanto che - allo stato attuale degli studi – possiamo dire che ne esistono una quindicina di esemplari.
La studiosa ipotizza che la “Madonna col Bambino” custodita a Castell’Umberto, documentata da un atto notarile del 1512, sia la prima opera da lui scolpita. Rileva, oltre ai danni materiali che la statua ha subito nel corso del tempo, l’aspetto grossolano in alcune parti della raffigurazione. Ritiene che la statua non sia stata adeguatamente rifinita per l’inesperienza del suo autore per la prima volta alle prese con un lavoro statuario. Le “Madonne”, eseguite immediatamente dopo si caratterizzano per un più alto grado di finitura. Queste sono, la ‘Madonna col Bambino’ di Raccuia (ME), firmata dal Mazzolo e quelle, unanimemente assegnategli dalla critica, di Monforte San Giorgio (ME) e di Gàlatro (RC).
La statua di Raccuia fra tutte la più simile a quella di Castell’Umberto - e con ogni verosimiglianza la più vicina per cronologia - rivela un grado di rifinitura maggiore, sebbene la figura risulti complessivamente statica e ingessata, alla stregua di tutte le “Madonne” scolpite da Giovambattista Mazzolo e dalla sua bottega. Il confronto serrato tra i quattro gruppi scultorei dischiude una messe di analogie che rendono questi marmi una sorta di sottogruppo ben distinto dal resto della produzione di immagini mariane eseguite dal maestro carrarese. Oltre all’impianto compositivo generale, esse condividono l’intera costruzione del sistema dei panneggi, i quali mostrano alcuni caratteri peculiari di questo maestro, come le pieghe concentriche che si addensano al di sotto dei risvolti dei mantelli, quelle fitte, e un po’ più morbide, dei perizomi dei ‘Bambini’, e quelle che si accartocciano ai piedi delle ‘Madonne’. Analogamente, è folto il repertorio delle affinità che riguardano le fisionomie di tutte queste figure, come si osserva nei volti dall’ovale perfetto ed inespressivo, negli occhi quasi a mandorla, nelle ampie arcate sopraccigliari, nei nasi lunghi e appuntiti, e infine nelle dita sottili e affusolate Nel voler tracciare una successione diacronica delle quattro ‘Madonne’, la studiosa individua l’opera di Castell’Umberto come la più antica del gruppo, e dunque il modello, al quale le altre si sono più o meno fedelmente richiamate. In particolare, la ‘Vergine’ di Raccuia si presenta come una sorta di duplicato, di migliore fattura, della statua del 1512, e pertanto probabilmente è stata eseguita a breve distanza dalla prima.
Prossima alle statue di Castell’Umberto e di Raccuia sarebbe la ‘Vergine’ conservata nella chiesa dell’Annunziata (sic!!!) di Monforte San Giorgio, della quale non si possiede alcuna notizia utile a corroborare la proposta di datazione ai primi anni venti. Quarta opera, quella consegnata a Gàlatro, in provincia di Reggio Calabria, pur replicando il tipo di Castell’Umberto, è più equilibrata sia dal punto di vista tecnico che espressivo, differenziandosi così anche dalle sculture di Raccuia e di Monforte San Giorgio. Le incertezze nella lavorazione del marmo e l’inespressività dei volti, particolarmente riscontrabili nell’opera di Castell’Umberto ma ancora visibili nelle altre due, hanno ceduto il passo, nella scultura calabrese, ad una maggiore consapevolezza tecnica, e alla resa più naturalistica di alcuni dettagli, quali le chiome dei capelli, mosse e fluenti, ed i lineamenti dei volti, più definiti ed eloquenti
Quindi secondo la storica dell’arte, queste quattro statue (riprodotte nella figura nell’ordine temporale ipotizzato dalla studiosa) sarebbero una testimonianza della fase iniziale dell’attività dello scultore (1512-1525) e darebbero ragione del rapporto imprescindibile e vincolante che dovette legare il Mazzolo, appena sbarcato a Messina, ad Antonello Gagini. Non è noto, allo stato attuale degli studi, se Antonello Gagini e Giovambattista Mazzolo si siano conosciuti personalmente. Quello che sappiamo con certezza, afferma, è che le quattro statue qui presentate richiamano, più o meno puntualmente, alcune celebri creazioni gaginiane. Ma un generalizzato senso di impoverimento tecnico, di banalizzazione dell’invenzione trapelerebbe dalle “repliche” gaginiane di Giovambattista Mazzolo.
Questo è in sintesi quanto si dice nell’articolo. Da parte mia mentre ringrazio l’autrice per avermi citato come il primo ad avere attribuito l’opera al Mazzolo, considero troppo severo il giudizio da lei espresso sulla statua di Monforte soprattutto quando parla di “ovale perfetto ed inespressivo” . La mia amata moglie Anna Carlini, che non finirò mai di ringraziare per il suo apporto ai miei scritti, quando assieme a me aveva esaminato la nostra statua aveva rilevato una pensosa dolcezza espressiva. È quella che affascina i devoti monfortesi. Ci aveva invece stupito la posizione priva di naturalezza, artificiosa delle dita della mano sinistra e le caratteristiche seriali che contraddistinguono tutte queste immagini. Ma questo è da attribuire alle pressanti richieste della committenza che dopo il trasferimento a Palermo di Gagini, amando molto il suo modo di scolpire avevano trovato in Mazzolo un suo continuatore Come afferma anche l’autrice dell’articolo. la rappresentazione della Madonna con caratteristiche pressappoco identiche, se da un lato deve essere interpretata come il segno del sicuro successo riscosso dallo scultore carrarese, dall’altro testimonia la difficoltà della bottega a svincolarsi dalle richieste di una committenza che, accomodatasi su quegli stessi fortunatissimi modelli, ne chiedeva espressamente l’esecuzione.
Guglielmo Scoglio