Jolanda Insana
La tagliola del disamore
Non ho mai commentato un libro di poesia, non ne possiedo gli strumenti, mi riesce molto difficile farlo e tuttavia la lettura del recente volume di Jolanda Insana "La tagliola del disamore" (Garzanti, pp. 140, euro 16.50) mi ha fortemente stimolato a esprimere i sentimenti che essa in me ha suscitato. Conoscevo già alcune poesie in esso contenute che erano state lette dalla stessa prof.ssa Insana il 13 agosto 2003 quando, graditissima ospite della Cyber Community "Friends and Sons of Monforte San Giorgio", aveva ritirato nella piazza del Paese il "Premio speciale alla cultura".
Allora i Monfortesi presenti alla cerimonia avevano fortemente percepito che le poesie lette oltre a riferirsi alla storia personale della poetessa, evocavano un ambiente familiare, sentimenti condivisi e toccavano profondamente le corde del loro cuore.
Adesso siamo in grado di conoscere anche il contesto in cui le poesie sono inserite: sono i primi tre poemetti, degli otto di cui si compone il volume, quelli che ricordano il nostro Paese, a cui la madre era legatissima e dove la famiglia Insana si era trasferita durante l'ultima guerra mondiale quando Messina era stata violentemente bombardata dagli Angloamericani. Portano il titolo " La pietanza votiva", "Più non si riconcilierà Abele e Caino", "Mai sentito tanto freddo".
Il libro è dedicato al poeta Giovanni Raboni ma la grande protagonista di esso è la madre di cui la poetessa ha uno struggente ricordo e verso cui manifesta sentimenti di stima, ammirazione ("con la pioggia e la canicola/il solleone e la tramontana/ogni giorno dal paese scendeva/al podere nella fiumara di Monforte/granaio e orto/frutteto e pollaio" p. 17), gratitudine. Le prime pagine sono dedicate ad un racconto fatto a Jolanda dalla madre che aveva profondamente turbato lei allora "piccola, più piccola di lei" : all'età di undici anni, nel 1918, la madre aveva visto con dolore gli ammalati di spagnola avviarsi "strascinando ognuno il proprio fardello" all'isolamento a cui erano stati destinati sul colle ai cui piedi giace l'abitato di Monforte san Giorgio, il colle dell'Immacolata, "la via Crucis dei giorni di Pasqua / con il Golgota in cima", aveva vissuto la passione di Cristo in quella dei fratelli malati.
Ed è proprio la religiosità paesana il dato più evidente di questi primi poemetti, quella religiosità che permetteva a tante donne del paese, su cui spesso gravava in tutto o in parte il peso della famiglia, di andare avanti nonostante ristrettezze, umiliazioni, difficoltà, dolori. Così trovano posto nel volume le fiduciose preghiere e i pellegrinaggi: "e per la luce degli occhi/ fa voto alla vergine che a Siracusa/mostra i più bei reliquiari mai visti" (p. 18); "nella madre adorava il figlio crocifisso/ a ogni rintocco dell'Ave /il sospiro profondo di chi boccheggia/e un verso di salmo/ così affidava alla madre le angustie" (p. 14); "più non si incamminerà di notte/ per il pellegrinaggio alla Madonna Nera/ o al santuario dell'Antennammare/ e non accenderà candele contro il male " (p.32) ; "più non sentirà la Katabba di sant'Agata /e più non fa la novena" (p.37).
Anche il latino delle preghiere storpiato dalle donne monfortesi si risolve nel volume in un testo pregnante di sentimenti : "non pregherà più / la sua requie materna in pace / non riconduce più il latino / al grembo della madre / con le sillabe affrante del cuore" (p. 30).
Sono ricordate anche antiche tradizioni religiose paesane trasformate dalla Insana in rito familiare: "solo con il pensiero potrebbe/ disporre lenticchie nel piatto con l'acqua/ e riporle nel chiuso dell'armadio/ perché germoglino senza verde / e sarò io per il giovedì santo di questa Pasqua/ a fare sepolcro di esili pallidi steli/ e apparecchiare per il suo altare" (p. 42).
Si incontrano i momenti conviviali legati alle feste liturgiche: "più non riconcilierà Abele e Caino/e a Pasqua non cucinerà l'agnello/ per i figli che tornano a casa" (p. 30) - "non é digiuno/quello che ci impone/ ma non si mangia pane né pasta nel giorno di santa Lucia" - " mi restano le tende alle finestre/ e le tovaglie ricamate per la tavola delle feste" (p. 43).
La lettura di molte poesie mi ha emozionato ma mi hanno particolarmente commosso quelle che mi hanno fatto andare col pensiero a mia madre, anche lei legatissima a Monforte, anche lei costretta per motivi familiari ad allontanarsi dal Paese: "voglio morire diceva/...../ so invece che non voleva morire/ e sognava di tornare allo sprofondo / del fondachello dove mette fiori e frutti/ il ciliegio maiatico della sua infanzia (p. 22) - "sarà lì dove correva ragazza/ e a maggio spicchiava arance amare" (p. 35). Anch'io provo, come la poetessa, il bisogno di custodire con cura religiosa, quasi fossero reliquie, oggetti e stracci di mia madre: "ho rovesciato il sacco e ripasso i brandelli di una vita ... e non riesco a buttare nessuna della sue cose" (p. 46).
Esprimo di cuore un grazie alla professoressa Insana per aver tradotto in versi con rara sensibilità ed efficacia sentimenti profondi che condivido ma che mai avrei saputo esternare.
Dalla lettura delle sue poesie ho colto un messaggio di ordine generale, una lezione di vita : affrontare l'esistenza in piedi, magari sopportando le fatiche "di una vera vita da mulo" (p.18) , magari "rodendosi le budella" (p.16), ma ripieni di dignità, nutrendo sentimenti di amore piuttosto che pasciuti, "gianduiati e smemorati" delirare nella "quotidiana tagliola del disamore" (p. 19).
Guglielmo Scoglio